Presentazione di Renzo Margonari


Un pittore e il suo collezionista. CARLO CORSI nella collezione Giordani.

di Renzo Margonari

L’abbondante letteratura sull’arte pittorica di Carlo Corsi non richiede alcuna aggiunta, trattandosi di un artista il cui nome è inscritto a larghi caratteri nella storia dell’arte italiana
della prima parte del secolo XX. Tuttavia, può avere significato qualche piccola speculazione -forse non inutile- circa la spontaneità della sua espressione poetica, raffrontandola con
l’iconografia e le caratteristiche formali del suo fare estetico. Per fare ciò, occorre impegnare la soggettiva intuizione e si può ravvisare un margine per inedite, sebbene incontrovertibili,
osservazioni. La mostra di Corsi alla Biennale di Venezia nel 1958 fu presentata da Francesco Arcangeli, che riconosceva: “...una carriera come questa testimonia in modo raro un fare diretto, un impegno instancabile con i propri singolari, umanissimi problemi, una
calma, coraggiosa, talvolta persino allegra resistenza a molti gravami...” e dichiarava che la reputazione del maestro avrebbe potuto affiancare quella di Giorgio Morandi, percependo
l’intimismo solitario della poetica di Corsi, coincidente con quella d’un Vuillard e d’un Bonnard accreditandogli una attenzione sempre più vigile al calibro delle sensazioni e dei
sentimenti. Arcangeli non aggiunse altri scritti, sebbene dispose altri interventi altrettanto significativi nell’apprezzare una delle maggiori personalità dell’arte bolognese di ogni epoca.

Sappiamo che a frenare il critico valse la sottaciuta rivalità di Corsi verso Morandi. Il critico seppe definire sensibilmente il disfacimento delle forme negli abbacinati controluce e nelle
ombre calibrate degli interni, la più tipica immaginativa del maestro, ma senza soffermarsi sulle particolarità del segno, del gesto e della materia che tanto differenziano la qualità della
sua pittura da quella degli altri protagonisti degli anni Venti e Trenta. Egli usa vari procedimenti: non sono rari i dipinti a spatola, senza utilizzo di pennello. I collage non precisamente informali, pure speculati sulla tonalità, parvero a molti non tanto una meditazione circa il costruttivismo cubista o la negatività dadaista esemplata dalle composizioni cartacee di Kurt Schwitters, ma addirittura una bizzarria che conclude la sua fiducia costante nella pittura con una negazione. Allora, lo stesso autore rispose lucidamente: “Mi parrebbe inutile dire che le mie carte non sono esercitazioni coloristiche fini a se stesse e tanto meno concessioni ad un gusto edonistico gratuito. Esse sono proposizioni di una sintassi che vorrei fissata nei suoi molteplici schemi.” Anche i collage, erroneamente ritenuti astratti erano, dunque, un tentativo di relazionarsi con la realtà.
Precedentemente fu facile, con una impropria prassi d’induzione e non deduttiva, collocarlo tra i “secessionisti bolognesi” come giudicarono senza giusta attenzione, parecchi critici ai quali queste affermazioni inattese parvero provocatoriamente destabilizzanti.
Per definire una giusta dimensione dell’importanza di Corsi, penso che si dovrebbe indagare con aperta sensibilità il significato insito nei suoi segni (la rapida pennellata materica calante, le ferme strisciate orizzontali, la preferenza per pennelli piatti o in alternativa, le spatole) espressi in libertà e spontaneità, appunto, nel ventennio 1930 - 1950, osservando innanzitutto come manchi -per scelta e con indifferenza- ogni pensiero aderente all’esperienza delle massicce volumetrie chiaroscurali del Novecento, dalle forme chiuse nettamente contornate, mentre le sue sono aperte nello spazio e i contorni sempre fusi. Si dovrebbe del pari essere ben cauti nel considerare una peculiare deriva postimpressionista, dove per restare aderenti all’opera sua, sarebbe più agevole intravvedere invece, un’anticipazione di gusto informale nell’uso della materia pittorica. Informale che a Bologna, peraltro, avrà dilatate conseguenze in chiave neonaturalistica, scortate da Arcangeli e dal quale -negli esempi correlativi dei primi anni Sessanta- Corsi prende le distanze senza mai cedere alla astrazione. Intendo dire, insomma, che analizzando la pennellata, l’ordine cromatico, la qualità del segno, si riscontra
un pittore ben distinto dalla fauna locale. Nei meccanismi gestuali e cromatici si riscontrano inoltre, il tranquillo pessimismo generico, la spontaneità dell’osservazione intimisticamente riflessa, la rapidità esecutiva, la sapienza dell’impasto pittorico dal tono malinconico, come casualmente prelevato dalla tavolozza. Sono dati che nella loro espressione di calma silenziosa e persino sonnolenta, appaiono talvolta contrastanti col comportamento esistenziale del maestro, caratterialmente esposto alla suscettibilità e al nervosismo (anche di ciò, serve dar conto), poiché Corsi non è semplicemente un solitario, ma è anche un contrario. Tutta la sua ricerca , infatti, è controcorrente, avulsa dal proprio contesto culturale, sorvolato con inquietudini e anticipazioni (certi dipinti sembrano posti come orizzonte di un traguardo non ancora raggiunto). L’indipendenza di pensiero lo induce a ignorare ogni valutazione critica sia negativa sia positiva dei propri risultati ma senza disprezzo per i giudizi a lui sfavorevoli con una certa autoironia e gran rispetto per l’opera dei colleghi che lo seguono oppure lo ignorano.

Corsi è un pittore compulsivo. In preda all’estro momentaneo dipinge su qualunque superficie gli capiti sotto mano al momento, dal foglio di giornale al cartone da imballaggio, senza preparare opportunamente il fondo. Eppure contiamo disegni quadrettati per l’ulteriore ingrandimento a olio, ad evidenziare momenti meditativi e una temporanea sosta nella consueta frenesia operativa. L’eccezionale collezione Giordani testimonia l’autenticità della sua ispirazione, intercorrendo dalla fine dell’Ottocento al 1960 circa, dalla quale si può ricavare come il rovello espressivo di Corsi consista soprattutto nella speculazione luministica, la sua maniera tipica di cogliere la luce abbacinante che trafora l’ombra e ne sfalda il contorno, dove appare semplicistico nominare Bonnard. In effetti -confronto probante- Corsi ha ben poco di bonnardiano se non qualche assonanza e neppure frequente, nella scelta dei soggetti.
Che Dio mi perdoni, certi dipinti di Corsi non mi rammentano Bonnard, bensì Matisse. Se poi l’insieme delle opere possa evocare un “sentire emiliano” nel colore e nella materia, ciò non può essere ascritto che a credito dell’intensità poetica, della sincerità nell’appartenenza a una nobile condizione antropologica culturale. In un certo senso è una ricchezza pari a quella che si ascrive a Morandi, che a me pare -dico senza intenzioni provocatorie né toglier merito-, per certi versi più limitato. Del resto, non sono ipotizzabili confronti tra le rispettive espressioni pittoriche. La figurazione di Morandi è avara e lentamente meditata, mentre quella di Corsi è generosa e priva di premeditazione. Sono l’opposto l’una dell’altra.
Giulio Carlo Argan (1985), ravvisò un’ipotetica ricchezza letteraria in Corsi, per il carattere diaristico della sua pittura […] un moderno e un modernista, e che nel succedersi di impressionismo, cubismo, informalismo vede[va] un continuo espandersi del registro dei segni pittorici. Del resto, Corsi era un assiduo cultore della letteratura e accresceva la sua imponente biblioteca con un’enorme raccolta di cataloghi d’arte.
La collezione Giordani ripercorre tutto il periodo cronologico e l’arco espressivo del maestro e segue -forse per una consonanza di sentimenti e passionalità- i gusti del suo collezionista.
La successione cronologica nella selezione dei dipinti, accentua il dato intimista di questa pittura fatta di mezzitoni, dunque di sussurri, con un narrare diretto, privo d’inibizioni accademiche o riferimenti a scuole o tendenze, evadendo verso una prospettiva d’ambito europeo, ma con spirito indipendente, solistico, aspirando a una libertà totale.
Da questa raccolta ben si demarca uno degli aspetti più sorprendenti nella ricerca figurativa di Corsi, finora non deliberato apertamente dalla critica: col passare degli anni, l’artista acquista una sempre maggiore adesione all’istinto pittoricistico. Il suo accentuato inarrestabile attivismo lo spinge verso forme nuove che determinano gli esiti più avanzati disorientando la critica. Simile gusto sperimentale si conferma negli ultimi decenni, facendosi sempre più urgente e audace, mentre gli artisti coevi indulgono alla ripetizione delle formule del proprio successo. Negli ultimi anni Corsi è come un anziano che anziché diminuire il compasso della camminata a causa dell’età, lo allarga e aumenta la frequenza nell’andatura. Caso raro davvero nel panorama dell’arte italiana nel XX secolo. Il suo amico-mecenate segue il ritmo, fedelmente e amichevolmente, condividendo lo spirito dell’operosa e tenace vicenda corsiana, stratificando la collezione, contrappuntando con la conservazione di importanti disegni e schizzi, mettendo assieme la probante testimonianza di circa mezzo secolo sodale, dove si evidenzia la tensione avanzante dell’artista la cui libertà espressiva progredisce negli anni fin quasi a diventare indipendente dai vincoli naturalistici, dalla struttura stessa delle forme... Tutto il processo faticoso [...] in cui si evolve la sua pittura -scrive lo stesso Angiolo Giordani, già nel 1929- [dice] chiaramente la difficile lotta che questo nostro pittore combatte
da tempo, silenziosamente e senza tregua, per costruire intera la propria fisionomia artistica. Questa mostra rende omaggio al maestro bolognese e in misura uguale al suo costante e solidale sostenitore. La famiglia Giordani fu coinvolta nei rapporti con l’artista che spesso ne era ospite per operose vacanze, ritraendo la vita di spiaggia e i momenti pensosi delle donne e dei giovani nella luce serale dei silenziosi lavori casalinghi e di cucito nella penombra afosa. La figura femminile prevale su ogni altro genere, compreso il paesaggio. Ben si comprende come l’opera di un pittore che ha percorso più di mezzo secolo di storia della evoluzione estetica nel XX secolo, costituisca una sorta di lessico visivo del dibattito che si è svolto tra gli artisti più impegnati nello stesso periodo e questi possano avere intercettato i pensieri di Corsi. Tuttavia, è altrettanto evidente l’inutilità di individuare le derivazioni, così come accentuare la consanguineità culturale con altri coevi protagonisti del suo ambiente antropologico. Proprio attraverso la collezione Giordani -una sorta di crestomazia della produzione corsiana e delle sue motivazioni formali e poetiche si può concludere che il maestro fu un pittore orientato all’orizzonte europeo, fuori dagli schemi, dentro la cultura,
come brillantemente affermato da Rossana Bossaglia.
Non c’è altro da aggiungere, se non moltissimo.
Renzo Margonari


Nessun commento:

Posta un commento

Facebook